Il comune di Roma non sarà parte civile

(OMNIROMA) Civitavecchia, 28 giu – Il gup (giudice udienza preliminare)
Giovanni Giorgianni, dopo la camera di consiglio, ha rigettato la
richiesta inoltrata dal legale del Comune di Roma per la costituzione
dell'ente come parte civile nel processo per l'omicidio di Renato
Biagetti, in corso di svolgimento al tribunale di Civitavecchia,
avvenuto il 27 agosto del 2006 sul litorale di Focene. "Il giudice ha
ritenuto che la capacità rappresentativa del Comune – spiega l'avvocato
Sabato, legale del Comune di Roma – per l'azione giuridica
Comune-cittadinanza non avesse una determinazione tale da far insorgere
un diritto di risarcimento danni"

Mentre il sindaco di Roma Veltroni tornava dal "Discorso del Lingotto", il tribunale di Civitavecchia ha dunque rigettato
l'istanza con cui il Comune di Roma voleva costituirsi parte civile nel
processo per l'omicidio di Renato Biagetti. La costituzione di parte civile da parte
del comune aveva solo un significato politico. Veltroni, infatti, dopo
l'omicidio fu accusato di voler nascondere la vicenda per nascondere i
problemi, i conflitti aperti, i disagi della sua città-vetrina che –
come i Rom – vengono sfrattati dal centro e deportati in periferia.
Veltroni, per altro, era in ottima compagnia, visto che anche le forze
dell'ordine hanno cercato di oscurare la verità: uno degli imputati
è figlio di un carabiniere di zona, e proprio i colleghi del padre
hanno condotto le indagini con anomali ritardi, fino a "perdere" il
verbale della testimonianza resa da Renato prima di morire (la più
importante per fare luce sui fatti), ora ritrovato e rimesso agli atti
dopo che 4 testimoni hanno smentito la ricostruzione delle forze
dell'ordine. Per rimediare e dimostrare l'interesse della giunta,
Veltroni decise di prendere posizione nel processo. Oggi, questa 
decisione viene sgambettata dal tribunale di Civitavecchia in cui si
svolge il processo per l'omicidio.

Non è una buona notizia, per
i familiari, gli amici, i compagni di Renato. Per capirlo, occorre
chiarire una premessa. La Costituzione di parte civile da parte del
Comune poco importa, in sé, a chi non cerca giustizia o vendetta nei
tribunali. Chi si ostina a seguire inchieste e processi come quello di
Civitavecchia (a Genova, a Ferrara, a Milano) ha altre motivazioni che
la "giusta pena". Vuole spezzare quell'apparato di potere e di
disinformazione che scatta quando un episodio rischia di rivelare una
verità scomoda, in modo che la volta successiva scatti con qualche
difficoltà in più.

E su questo piano, la decisione del tribunale
di oggi sortisce due effetti. Innanzitutto, svincola la politica
istituzionale dalla vicenda e favorisce la deresponsabilizzazione di
chi, come Veltroni, su una Roma prospera e pacificata sta costruendo
una carriera politica e un modello di governo. Essere parte in causa,
seppur defilata, in un processo che parla del disagio delle periferie
romane non avrebbe aiutato l'operazione di immagine e anzi, avrebbe
potuto dare al processo un risalto indesiderato. Il rigetto della
costituzione di parte civile, in poche parole, autorizza il Comune a
credersi assolto.

In secondo luogo, con la sua decisione il
tribunale manda un segnale alla politica, intesa in senso lato: le
istituzioni, i movimenti, i media si tengano fuori da questa vicenda.
Il giudice vuole eliminare il rischio che la vicenda di Renato
suggerisca analisi e prese di posizione, vada oltre il semplice fatto
di cronaca e di tribunale. Che qualcuno che non sia un testimone, un
imputato o un avvocato dica la sua, foss'anche un sindaco. Già ci sono
i compagni di Renato a digrignare i denti, a piangere, a esprimere
l'amore e la rabbia e i sogni di Renato.

Non sempre un giudice
vuole tenersi lontano dalla politica per rivendicare l'imparzialità del
diritto e l'indipendenza della giustizia. Spesso, è proprio per il
motivo opposto. I giudici, spesso, reclamano autonomia dalla politica
proprio quando con la politica devono fare patti, gestire equilibri,
scambiare favori, indisturbati dai media e dall'attenzione pubblica. E
il Tribunale di Civitavecchia di equilibri da gestire ne ha: a
cominciare dai Carabinieri, coinvolti come inquirenti e come genitori.
Mastella, nel rispondere ad un'interrogazione parlamentare proprio
sull'anomalia di un Corpo che indaga su se stesso, ha chiarito che il
Ministero non metterà bocca,
dando una mano ai "silenziatori". E con quella stazione dei
Carabinieri, la Procura di Civitavecchia collabora e vuole continuare a
collaborare domani. I rapporti vanno manovrati con le pinze, dunque. Il
Comune di Roma non avrebbe certo preteso condanne esemplari contro i
Carabinieri, però toglierselo dai piedi diminuisce il numero di
variabili di cui tenere conto e lascia le mani più libere al Tribunale.

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