Report legale relativo alle motivazioni delle sentenza emessa lo scorso 12 luglio.

Renato è stato un morto scomodo, talmente scomodo che la sua città non gli ha dedicato nemmeno un minuto di silenzio, non si è fermata neppure un attimo per rendersi conto della gravità di quanto accaduto e di quello che il seme dell’intolleranza e della violenza contro il diverso aveva generato.
In un paese come il nostro è davvero difficile far emergere la verità, rompere il muro dell’indifferenza, dell’equidistanza e del qualunquismo e mantenere viva l memoria e i sogni di uno come Renato.
Eppure è  il tentativo che stiamo facendo: cercando di mantenere alta l’attenzione su come si svolge questo processo, ma anche continuando a promuovere iniziative in suo ricordo, a far vivere i suoi sogni e continuando a raccontare la sua storia e la verità su quella notte.

Durante le udienze del processo contro l’imputato maggiorenne, presso il tribunale di Civitavecchia, il giudice rifiutò di accettare come parti civili il Comune di Roma e l’Anpi, evidenziando la volontà da parte della magistratura, di voler gestire la vicenda come un semplice fatto di cronaca nera, dove la politica non c’entra, eliminando così il rischio che quanto accaduto a Renato potesse suggerire analisi e prese di posizion, che andassero ben oltre il fatto di cronaca e di tribunale, nascondendo così la realtà scomoda del riemergere del neofascismo, dei conflitti sociali, dei disagi che si vivono in questa città-vetrina, nella periferia, nella provincia.

La sentenza emessa dal tribunale di Civitavecchia, pur ricostruendo una parte dei fatti , nega la matrice politica, razzista e intollerante dell’aggressione di cui Renato, Paolo e Laura sono stati vittime, continuando a parlare, come fecero i giornali nei primi momenti, di una rissa tra balordi finita male.
Le motivazioni della sentenza emessa lo scorso 12 luglio, raccontano infatti di una violenta rissa tra ubriaconi, consumata alla fine di un sabato sera scellerato. Una rissa che purtroppo è finita male perchè, quasi per caso, uno dei litiganti aveva con se il coltello.
In queste motivazioni poi le testimonianze di Laura e Paolo sono giudicate poco attendibili  e non vengono praticamente prese in considerazione.
Eppure,  sono loro i più diretti testimoni di quanto accadde quella notte e nonostante il trauma e lo shock vissuti, tutte le volte che sono stati ascoltati, hanno fornito versioni dei fatti coerenti e relativamente precise, fin dall’inizio.
Da questa sentenza Laura, Paolo e Renato vengono invece ripetutamente screditati.

Tutti noi non possiamo accettare che vengano descritti così, non possiamo accettare di vedere offendere loro e la memoria di Renato. E soprattutto questo insulto non era necessario ai fini processuali e non serve a far luce sulla dinamica dell’aggressione che hanno subito.

Quella notte non c’è stata una rissa, ma un’aggressione premeditata, con matrice anche ideologica, perchè l’obbiettivo dei due imputati per l’omicidio di Renato, ricordiamo tutti e due giovanissimi, era quello di aggredire ed allontanare, coltello alla mano, chiunque in quel momento fosse uscito della reggae “di sinistra” che si era tenuta sulla spiaggia.
Quella notte del 27 agosto 2006, a Focene, due persone armate di coltelli hanno aggredito e ferito tre persone. Una di loro, Renato, è morta. Tanta era la determinazione di uccidere.

Questa sentenza, pur inchiodando l’imputato maggiorenne alle sue responsabilità e pur evidenziando la ferocia dell’omicidio, non chiarisce fino in fondo la ricostruzione dei fatti di quella maledetta notte.

L’Emiliani infatti è solo uno dei due responsabili diretti di quell’omicidio. Gli imputati sono due e le responsabilità sono di entrambi: la verità su quella notte è che furono sicuramente utilizzati due coltelli, che colpirono Renato con inaudita ferocia e ferirono Paolo.
Invece, la sentenza emessa con rito abbreviato e quindi senza sentire testimoni in aula, nel condannare l’Emiliani a 15 anni per omicidio, si dilunga eccessivamente sull’escludere, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità dell’altro imputato minorenne, per cui il processo presso il minorile deve ancora iniziare e sulla presenza del secondo coltello.
Inoltre nel frattempo l’imputato minorenne è stato affidato ai genitori e reinserito ai fini “rieducativi” nello stesso ambiente in cui è maturato l’omicidio e tra gli stessi amici esultanti al suo passaggio che ci hanno insultato fuori dalle aule di tribunale.
Eppure anche l’Amoroso è responsabile dell’omicidio e delle coltellate inferte a Renato, tanto quanto l’Emiliani che è stato già condannato.
Quando nel corso del dibattimento al processo civile che si sta per aprire, avremo modo di ricostruire attraverso le testimonianze i fatti di quel 27 agosto, forse, la verità ci sembrerà un pò più vicina.

Infine, sempre rispetto alle vicende processuali, ricordiamo le omissioni nelle indagini che fin dall’inizio abbiamo denunciato.
Tutti noi ricordiamo i verbali con le ultime dichiarazioni che Renato rilasciò prima di morire e che stranamente sparirono, per poi ricomparire, solo in seguito alla richiesta dei legali, ricostruiti a distanza di un anno sulla base dei ricordi del carabiniere in servizio all’alba del 27.
Parole che non possono assolutamente ritenersi attendibili, raccolte ad un anno di distanza dai fatti.
Eppure, nelle motivazioni della sentenza, queste dichiarazioni assumono un ruolo probatorio centrale nella ricostruzione dei fatti, insieme alla versione, ovviamente faziosa, raccontata dai due imputati.
Tutto questo, unito al modo in cui vengono screditati Renato, Laura e Paolo è assolutamente fuori luogo e offensivo, per i familiari e per tutti noi.

Con il passare del tempo, quindi, diventa sempre più importante mantenere alta l’attenzione sullo svolgimento dei processi, non perchè ci si affida ad i tribunali per trovare giustizia, ma perchè non venga ulteriormente oscurata la verità sulla morte di Renato.

Se non fosse stato per la determinazione e la forza della famiglia, degli amici, dei compagni di Renato e della cittadinanza sanamente antifascista, la politica e l’informazione si sarebbero defilate e Roma non avrebbe neanche percepito che un giovane di 26 anni era stato ucciso a coltelle in seguito ad un’ aggressione. Ucciso dalle lame di quella cultura fascista, razzista, omofoba, intollerante che nella disperazione sociale che si vive in questo paese, indica sempre nei più deboli, negli esclusi, nei diversi il nemico da combattere.
Già prima dell’omicidio di Renato avevamo raccontato degli attacchi al Forte Prenestino, al centro sociale la Torre e nei campi rom, delle numerose aggressioni omofobe e sessiste. Poi dopo la morte di Renato ancora aggressioni, nelle scuole, a Villa Ada e alla casa occupata di Casalbertone.
Nulla, anche grazie all’equidistanza delle istituzioni sembra essere cambiato.

Questo è un paese che va sempre più a destra, nelle sue rappresentanze politiche e nelle sue forze dell’ordine, e dove il disagio sociale continua ad aumentare.
Vi è dunque una svolta repressiva sotto il profilo culturale che grida all’allarme sociale ovunque,
i rom, i migranti, i diversi, i poveri, invece di affrontare i reali problemi.
In un paese in cui avviene tutto questo è davvero difficile far emergere la verità, rompere il muro dell’indifferenza e del qualunquismo e mantenere viva la memoria e i sogni di uno come Renato e come Dax uccisi entrambi dalle lame fasciste, come Carlo ucciso dalla polizia a genova, come Federico, ucciso dalla polizia durante un normale controllo, come Aldo ucciso di botte in carcere dalla penitenziaria…

Per citarne solo alcuni…
Eppure il tentativo che stiamo facendo è quello di mantenere alta l’attenzione su queste storie, continuando a promuovere iniziative e manifestazioni, continuando a far vivere i sogni di Renato, continuando a raccontare la verità su quella notte a Focene, sulla storia di Renato che è anche la nostra storia.

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