Lettera di Haidi Giuliani

Qualche giorno fa ero a Brescia, alla bella festa di Radio Onda d’Urto. No, non ero lì per fare festa ma per parlare di Aldro insieme a Patrizia, sua madre.

E chissà perché, quando ho avuto il microfono in mano, ho cominciato a raccontare di Luca Rossi, ucciso “per sbaglio” mentre attraversava la strada, negli anni 70 a Milano, da un poliziotto in borghese che stava litigando con degli spacciatori per affari privati. E poi ho raccontato di Francesco Lo Russo, ucciso a Bologna in quegli stessi anni, e la sua storia assomiglia tanto a quella di Carlo, solo che lui è stato colpito alla schiena e non aveva nemmeno un estintore in mano per difendersi. Fanno tutti parte di una lunga lista di archiviati senza verità né giustizia. Così, quando sento la notizia dell’assassinio di Renato penso a Dax. Penso a Davide accoltellato con il suo amico da tre fanatici all’uscita di un bar, alle forze dell’ordine che bloccano la strada ritardando l’arrivo dell’ambulanza, a lui agonizzante sul marciapiedi, mentre già qualcuno scrive che si è trattato di una rissa. Non posso non pensarci: sua madre, Rosa, da quel giorno è diventata mia sorella. E penso che ci sono epoche, nella vita del nostro Paese, in cui c’è chi si diletta a fomentare odio, per calcolo politico, per tornaconto personale, per vendere più copie, per tante ragioni. Sì, c’è chi sfrutta l’ignoranza e il fanatismo per indicare e mettere sotto accusa il nemico di sempre: l’extraparlamentare, il comunista, il libertario, l’alternativo, il ragazzo generoso che sta dalla parte dei senzacasa e senzavoce, il ragazzo dei centri sociali. Passano gli anni, cambiano le definizioni, le vittime sono sempre le stesse. Perché, a soffiare sul fuoco, prima o poi il fuoco si accende. La vita umana, in tempo di guerre e di disperati sbarchi clandestini, vale sempre di meno. Vale di meno sui tralicci di un cantiere o in un camion di trafficanti. C’è chi, con una mano sul portafoglio, va teorizzando che quei morti dopotutto se la sono cercata e voluta, che quei morti sono loro, il nemico, loro e chi sta dalla loro parte. Quindi, dalli all’untore! Me ne hanno raccontate tante di storie di aggressioni di stampo fascista, in questi anni, durante i miei viaggi. Un anno fa, a Torino, solo per fortuna non c’è scappato il morto: qualcuno era entrato di notte in un centro sociale e aveva accoltellato dei ragazzi che dormivano all’interno; in cambio il giorno dopo la polizia ha caricato e arrestato i loro amici che manifestavano contro l’aggressione. E’ pericoloso essere antifascisti, nel nostro democratico Paese; se ne sono accorti anche i ragazzi di Milano: otto di loro sono stati scarcerati, dopo quattro mesi di galera gratuita, perché riconosciuti innocenti; gli altri, vedremo. Nessuno si è preoccupato per quelli che sfilavano con tanto di croci celtiche, saluti romani, gagliardetti e altre amenità anticostituzionali. E domenica scorsa viene assassinato Renato. A differenza di altri, per cui giornali e tv spendono parole di fuoco, non è un morto importante, anzi, è un morto scomodo e la notizia passa presto. Io sto qui seduta, a pensare a lui, che non conosco ma è come se lo conoscessi. Penso che non ce la farò. Non ce la farò ad accompagnare ancora quest’altro figlio al cimitero. Non ce la farò a guardarmi nello specchio degli occhi di sua madre. Ma non ce la farò neppure a stare qui, di fronte agli occhi di Carlo che mi guardano da un manifesto, senza fare niente. Perché so quello che devo fare, quello che tutti e tutte dobbiamo fare, subito: chiedere conto ai mandanti, agli istigatori, ai seminatori di odio; a chi certamente non gira con il coltello nascosto sotto la giacca ma, peggio, pronuncia condanne irresponsabili. E dobbiamo chiedere conto a chi volta la faccia dall’altra parte, a chi non vuole vedere né capire da che parte sta la violenza, e si trincera con supponenza dietro a un atteggiamento di falsa equidistanza. Dobbiamo chiedere conto a loro della vita di Renato, che non c’è più.

Haidi Gaggio Giuliani

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