CON IL SANGUE AGLI OCCHI

In questi giorni partecipiamo collettivamente al dolore e alla rabbia che ha investito la famiglia, gli amici e i compagni di Renato accoltellato a morte la notte di sabato scorso mentre usciva da una festa reggae a Focene, nei pressi di Ostia.
Un’aggressione a freddo, non una rissa o una colluttazione, ma 8 coltellate, quasi tutte dirette a punti vitali, l’addome e il petto… 

Di fronte a questa notizia da Milano è nata l’esigenza di capire a fondo la dinamica dell’accaduto e di portare immediatamente la nostra solidarietà umana e politica alla città di Roma.
Viviamo un livello alto di coinvolgimento in questo frangente che, in qualche modo, ci riporta ai fatti del marzo ‘03. 
Era la sera del 16 marzo quando Davide Cesare, Dax, veniva assassinato a Milano. Sono evidenti e inquietanti le analogie tra questi episodi. Come Renato anche Dax aveva 26 anni ed entrambi sono stati uccisi vigliaccamente con il coltello. 
Come per i fatti di Focene anche a Milano gli aggressori non erano propriamente dei militanti politici di formazione dell’estrema destra e tra loro c’era un minorenne di appena 17 anni. Ma in entrambi i casi il retroterra ideologico e culturale che ha mosso queste mani assassine presenta una chiara matrice fascista: chi con una celtica tatuata sul corpo e chi con gli “altarini” dedicati al ventennio e al duce in casa. Non elementi organici a gruppi specifici quindi, ma balordi impregnati di fascismo e xenofobia.
Ieri come oggi i mass media cercano di ridurre gli avvenimenti a “risse” o “liti degenerate”, tra “spostati” o “punk”, insomma, in qualche modo, tra gente che se la và a cercare. A Milano come a Roma la prima battaglia che si è dovuta sostenere è stata per la ricostruzione della verità, contro i numerosi tentativi di volere ridurre, in maniera distorta, il fatto reale a uno dei tanti episodi di cronaca nera che affollano i giornali. Una morte che non deve scuotere le coscienze, che deve essere dimenticata per tornare in fretta ad una presunta normalità.
Dax era un militante antifascista ed, insieme ad altri compagni, è stato riconosciuto come tale e quindi colpito. Al contrario Renato non era un attivista politico, solo si è trovato “nel luogo sbagliato” (il “Buena Onda” locale gestito da persone di Rifondazione Comunista e frequentato da gente definita “di sinistra”), al posto suo ci poteva essere chiunque dei partecipanti a quella festa. Gli assassini di Renato hanno colpito in un ipotetico mucchio, identificato come “diverso” o “zecca”, quindi nemico. Una differenza che rende ancor più assurdo questo feroce omicidio e deve essere ricondotta al clima politico, sociale e culturale che in tre anni ha subito una pericolosa trasformazione. Il 16 marzo 2003 il nostro dramma sembrava essere un episodio isolato, un ritorno improvviso agli “anni di piombo”. L’assassinio di Renato, invece, appare più come il prodotto dell’escalation di violenza squadrista che la destra nazifascista ha saputo alimentare attraverso incendi, accoltellamenti e aggressioni contro compagni, migranti, centri sociali e sedi politiche, in genere contro chiunque sia “altro” o “di sinistra” magari soltanto perché, ad esempio, porta sotto braccio “il manifesto”. 
In questo scenario Roma risulta essere uno dei laboratori più avanzati, oltre che per il numero di attacchi registrati, anche per il radicamento e l’agibilità politica di cui godono le formazioni più becere dell’estrema destra.
Un quadro reso possibile da una legittimazione politica, culturale e istituzionale che si è esplicitata spudoratamente con le alleanze elettorali stipulate dalla Casa delle Libertà, accolte con colpevole indifferenza dalla sinistra parlamentare. Un’indifferenza che rischia di avvolgere anche l’uccisione di Renato. Al contrario, senza alcuna esitazione, abbiamo assistito al prodigarsi dell’opinione pubblica e di vari esponenti politici nel condannare le macchina bruciate durante la manifestazione antifascista dell’11 marzo a Milano. Dov’è oggi lo sdegno di fronte a una vita spezzata? Evidentemente il valore delle cose materiali ha più peso di quello degli esseri umani. 
E’ importante sottolineare anche l’atteggiamento che attraversa settori della magistratura che di fronte ad accoltellamenti, come quelli avvenuti fuori da Centro Sociale Conchetta a Milano nell’agosto 2004 (dove i colpi furono inferti anche in punti vitali e solo il caso ha voluto che non ci sia stato il morto), preferisce alleggerire il reato definendolo come lesioni invece che tentato omicidio. Per i danneggiamenti avvenuti durante gli scontri dell’11 marzo, invece, la semplice presenza in piazza diventa “concorso in devastazione e saccheggio” con condanne a 4 anni per 18 persone (più o meno la stessa pena inflitta agli accoltellatori). 
Due pesi e due misure, una sostanziale impunità che ha concretamente favorito e quindi legittimato il riprodursi di azioni di matrice nazifascista in tutta Italia. Impunità per gli assassini e prigione per chi lotta; non possiamo certo invocare l’intervento delle forze dell’ordine o una maggior severità dei giudici e, soprattutto, non vogliamo delegare a nessuno la militanza antifascista nei territori.

E’ compito di tutti strutturare reti di solidarietà attiva, costruire gruppi coordinati di monitoraggio e inchiesta sulle destre in ogni città. Fare controinformazione nelle scuole dove maggiormente si respira un inquietante revisionismo storico. 
Ci stringiamo attorno alla famiglia, agli amici e ai compagni di Renato, il nostro impegno e la nostra determinazione a mobilitarsi e a rispondere perché nessuno si trovi più costretto a piangere un amico, un fratello, un compagno, strappato alla vita.

DAX ODIA ANCORA

2settembre2006
Officina della Resistenza SOciale – Navigli Antifascisti Milano

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