Lettera aperta al Sindaco Veltroni

Caro Sindaco,
La scelta di intitolare “La città dell'Altra Economia” a Renato Biagetti, il ragazzo ucciso a seguito dell'aggressione avvenuta sul litorale romano lo scorso Agosto, è sicuramente indice di quella sensibilità civile e umana che da sempre contraddistingue il tuo operato. Una giovane vita spezzata da un'idiozia così barbaramente violenta non ammette reticenze né tentennamenti da parte di una città come Roma e della sua amministrazione, che cerca coraggiosamente di fare della solidarietà e della pace gli assi portanti del suo moderno modello di convivenza civile.

Eppure, oltre al forte dolore che un episodio come questo suscita in tutti noi, vi è un'inquetudine insopportabile che mi spinge a scriverti questa lettera: negli ultimi tempi nella nostra città si ripetono episodi che parlano dell'affermazione di una cultura dell'intolleranza, omofoba e razzista, che si esprime attraverso l'esibizione della violenza più bruta e che viene sempre più codificata dai linguaggi, dagli stili e dai simboli dei gruppi dell'estrema destra romana.

Sebbene sia sensato rifuggire dalla tentazione a generalizzare troppo frettolosamente fatti così drammatici, è al tempo stesso nostra responsabilità non chiudere gli occhi di fronte a fenomeni che, seppur senza alcuno sviluppo lineare, si stanno diffondendo nella nostra città. Ben aldilà di qualsiasi facile sociologismo, non è difficile scorgere in questi fenomeni l'esito regressivo della disintegrazione del modello di Welfare, il dilagare di una precarietà lavorativa e esistenziale che finisce per sedimentare paure nella popolazione giovanile, l'accesso ineguale alla cultura e ai saperi che lascia spesso scarsi e inadeguati gli strumenti di comprensione. Se siamo ancora lontani dalla drammatica situazione delle banlieues parigine, non siamo esonerati dall'avviare con senso di responsabilità una riflessione pubblica e serrata su un fenomeno che rimane non riducibile alla sua emersione episodica né ad una eventuale risposta emergenziale. Il “modello Roma” deve avere il coraggio di confrontarsi con questo “male oscuro” che lo attraversa sotterraneamente. A destare inoltre preoccupazione è il modo in cui i giornali hanno cercato di descrivere l'uccisione di Renato: una rissa tra balordi. Non v'è alcun dubbio sull'inesistenza di un piano prestabilito dei gruppi organizzati dell'estrema destra romana. Urlare all'omicidio politico sarebbe stato, oltre che un gesto di chiara disinformazione, anche un atto irresponsabile e pericoloso. Eppure questo non ci autorizza ad affermare che un simile atto non abbia alcuna matrice culturale, non abbia alcun senso e non esprima alcun codice. Che ci troviamo di fronte a comportamenti non riconducibili alle classiche categorie della lotta politica, che gli aggressori non abbiano voluto “segnare” politicamente quel gesto, non vuol dire ancora che questo non abbia un carattere che definirei “fascistoide”.

Come sai bene, Roma negli ultimi tempi ha assistito ad una serie crescente di aggressioni, alcune delle quali molto pericolose e violente, ai danni di frequentatori di centri sociali e in generale di luoghi di aggregazione di sinistra (come del resto è il locale di Focene da cui usciva Renato). Alcune di queste aggressioni sono inequivocabilmente riconducibili all'azione di gruppi organizzati dell'estrema destra, altre meno. Il punto però è che vi è il pericolo che su questa composizione giovanile che non trova più nel lavoro una fonte di identità forte e stabile, che spesso non dispone degli strumenti culturali adeguati a rispondere alle sempre più complesse sollecitazioni che vengono dalla società, si affermi una logica dell'amiconemico, della guerra da bande e della frustrazione risentita sulla quale una rinnovata cultura di estrema destra può innestarsi. Non è certo una pessimistica proiezione.

Su questo è bene essere chiari: la retorica dell'equidistanza rischia a lungo andare di non afferrare il problema, di rimandarlo o di vederselo sfuggire di mano. Così come la spazzatura viene riposta sotto il tappeto.

Cos'è l'equidistanza quando questa accomuna degli aggressori a degli aggrediti? Quando gli uni e gli altri esprimono culture diverse e irriducibili?

I giornali e le Istituzioni non sembrano particolarmente sensibili a questo rischio che già vive nei nostri territori. Una forte politica sociale che punti attraverso forme di redistribuzione della ricchezza ad allentare la morsa del ricatto e della dipendenza economica e che allo stesso tempo riduca programmaticamente il gap culturale che caratterizza le nostre città sono i passi obbligati che la nostra responsabilità ci spinge a fare. Ma a tutto questo deve essere affiancato una presa di parola pubblica, chiara e determinata che sappia opporre al dilagare di una cultura della paura, dell'intolleranza e della violenza un discrimine etico insormontabile. Per questo ti propongo di dare vita ad una giornata di discussione pubblica rivolta alla città e alle comunità giovanili che abitano i nostri territori, che sappia coniugare un'analisi complessiva e pertinente con una presa di posizione determinata. Il dilagare di culture antidemocratiche non può restare confinato alla cronaca nera. Il silenzio delle istituzioni politiche e sociali rischia di diventare quindi un'ammissione di impotenza. Che la politica insomma, scelga la sua parte.

 

Giuseppe Mariani      

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